Per il pranzo di Natale a casa mia, come in quella di tutti i compaesani, si mangiava l’oca.
In paese quasi tutti allevavano oche. Per lo più le si vendeva per guadagnare qualche soldino, per comprare scarpe e indumenti. Ma una, la più bella, la si teneva per Natale. La si allevava con cura e, soprattutto negli ultimi giorni, le si dava da mangiare molto, in modo che la propria oca fosse più bella e grassa di quella del vicino.
Alla Vigilia di Natale, tutte le madri le preparavano farcendole con il ripieno segreto di famiglia. Aggiungevano gli aromi e le adagiavano su una teglia. Troppo grosse però per entrare nel fornetto della stufa economica di casa, le si portava quindi al panettiere che, una volta sfornato tutto il pane, per l’occasione sfornava anche oche. Ognuna aveva un suo particolare riconoscimento per evitare scambi. Le mamme, trascorso il tempo necessario per la cottura, si mettevano poi in fila ognuna per ritirare la propria.
Anche quell’anno fu così.
Mia madre arrivò in casa con l’oca ancora calda e profumatissima e con lo sguardo minaccioso ci disse: “Guai a chi la tocca!”
Quella sera, la cena come sempre era molto povera, al contrario della fame che era sempre tanta e resistere al profumino di quel arrosto era davvero impossibile. Con una scusa dissi che dovevo andare a sistemare gli attrezzi di lavoro e accudire gli animali. Prima di rientrare aspettai che tutti fossero andati nelle stanze a dormire e, piano piano, mi intrufolai nella cucina deciso solo ad assaggiare un piccolo pezzetto dell’oca, facendo in modo che nessuno si accorgesse. Ma cicinin dopo cicinin mi mangiai una coscia intera, non rendendomi conto che il furto era ormai troppo grosso.
La mattina seguente nessuno si accorse di niente, andammo alla messa prima, come di consueto nelle grandi feste, e poi ci si dedicava ai propri lavori, che solo per quel giorno venivano ridotti alle sole necessità degli animali. Arrivò finalmente mezzogiorno con il pranzo tanto atteso. Mia madre mise in tavola la grande oca e, solo in quel momento, si rese conto che alla poveretta mancava una coscia. Scese un silenzio di ghiaccio e io sentii subito tutti gli sguardi addosso. Impossibile descrivere cosa mi successe. Dico solo che da quel Natale io non potei più puntare piede in cucina per molti anni. E non solo a Natale, ma per ogni festa, perché fui additato come pericoloso ladro di cibo.
Nonno Federico
Albairate, anni ’50