Da piccola quando arrivava la fine di aprile per me iniziava un incubo. Dopo la festa di S. Giorgio infatti in quasi tutte le case cominciava l’allevamento dei bachi da seta. Era una delle poche fonti di reddito e i soldi a quell’epoca mancavano sempre. In casa venivano montati i “Cavaler”, dei graticci fatti con tavole di legno sovrapposte come se fossero tanti letti a castello che venivano poi ricoperti con foglie di “murun”, la pianta del gelso che tutti avevamo in cortile, le foglie servivano per allevare i bachi da seta e i frutti erano il nostro dolce primaverile. Mio papà mi mandava dal fattore a comprare le uova che venivano poste sulle foglie e noi donne di casa avevamo il compito di tenere accesa la stufa per riscaldarle, guai se la temperatura scendeva perchè voleva dire farle morire di freddo e a quel punto niente gallette e addio soldini. Una volta che le uova si schiudevano altro mio compito era quello di nutrirle, loro divoravano il gelso e per tutto il giorno dovevo raccogliere le foglie e portarle sui cavaler. La mia giornata era quindi tutto un andirivieni tra casa, giardino e stufa, niente doveva mancare né la legna per la stufa né le foglie per i bachi. Ed il mio incubo era proprio lì. Sì perchè a me i bachi facevano ribrezzo, non mi piacevano affatto, avevo però un fratello che amava, e lo fa tutt’ora, fare gli scherzi. Aspettava che io uscissi per raccogliere le foglie di gelso, si nascondeva in casa, prendeva dalle tavole qualche baco e appena ritornavo saltava fuori lanciandomeli addosso. Quelle piccole larve a me facevano tanta impressione, ero terrorizzata e sempre lanciavo un urlo e cominciavo ad agitarmi per togliermele da dosso. Lui si divertiva un mondo… io un po’ meno. Cominciavo a tranquillizzarmi solo quando i bachi si rinchiudevano facendo le gallette. A quel punto sapevo che il mio incubo era quasi finito, senza larve gli scherzi non potevano essere fatti. Appena il bozzolo era finito li raccoglievo in un secchiello, erano destinati alla filanda del paese dove li avrebbero scottati per far morire la larva all’interno e srotolati per trasformarli in filo di seta. Il compito che mi piaceva di più era riportare le gallette al fattore che le pesava e mi pagava il compenso. Vedermi in mano qualche soldino mi ripagava di tutti gli scherzi che avevo dovuto subire…
NONNA AGNESE
Cuggiono, anni ’40